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giovedì 29 marzo 2012

Di mani, di occhi, e di risate.


Lo sapete tutti, vero, che cosa ritrae questa fotografia?

Piacere a tutti - sussurra composta - lei è la mia tesi di dottorato finita (seguono strette di mano).

La mia tesi di dottorato finita e stampata che ha visto la luce all'incirca un mese fa e da allora mi sta accompagnando, fedele e in un certo qual modo ingombrante, nel mio itinerare per la provincia e oltre, chiedendomi attenzione in ogni istante di libertà e restituendomi, in cambio, uno sguardo rasserenato e più ricco verso un passato ormai concluso ma - concediamocelo - proficuo.

La mia tesi di dottorato stampata, nata dalle mani esperte di una levatrice con accento romano; protagonista di avventure e gite fuori programma con pernottamento già dai primi istanti di vita; maneggiata con mani sudate dalla sottoscritta nonostante tutte le cautele del caso (vedere ditate in alto a destra). La mia tesi di dottorato che profuma di carta e di inchiostro e fa venire voglia di metterla in cartella per andare a scuola l'indomani. La mia tesi di dottorato verde speranza ma non troppo. La mia tesi di dottorato, il piacere è tutto mio.

Ne ha già viste un buon numero, di mani, dacché sta su questa terra, la poveretta. Mani attente che l'hanno messa a dormire in un posto sicuro (nonsisamai), mani unte, mani ammirate e contente - di quella contentezza vera che trovi solo nascosta tra le pieghe dell'amicizia -, mani invidiose - o forse solo stanche - che sono andate dritte all'indice per controllare il numero di pagine, mani sfuggenti e cupe alla ricerca di errori, mani curiose che ne hanno sbirciato i ringraziamenti, mani profumate e mani grandi e fiere.

E poi, ieri pomeriggio, le mani di Marco. Che sono anche il motivo - il solo - per cui ho tirato in ballo questa storia un po' autocelebrativa della tesi che di per sé vi avrei volentieri risparmiato.

Le mani di Marco, dicevo, che è un ragazzo di sedici anni con i capelli rossi e le lentiggini, un ragazzo che non ha mai voglia di fare greco ma sempre molta di brontolare; un ragazzo esigente e logorroico; un ragazzo iscritto al secondo anno di un liceo classico che gli chiede cose che lui non ha proprio intenzione di dare; un ragazzo come tanti, forse un po' meglio di alcuni, forse un po' peggio di altri.

Ma con una cosina in più, anzi in meno. Perché Marco non vede. E' cieco, come si dice nel politicalli incorrect che a me piace tanto.

E, mentre stamattina ascoltavo le sue confidenze sussurrate in una pausa tra la lettura di un capitolo e il controllo della bibliografia, la mia tesi di dottorato mi ha confessato, arrossendo un po', che, di tutte le belle e le brutte mani che ha conosciuto in questo glorioso mese di vita sulla terra - lunga vita a lei - le migliori di tutte sono state quelle di ieri, quelle di Marco il mio allievo cieco, al quale non so nemmeno io perché o per come, mentre cercavo convulsamente una matita nel marasma della borsa, e la tesi mi è venuta tra le mani, all'improvviso ho detto ti faccio vedere una cosa - e mentre lo dicevo pensavo proprio al significato più pieno di questo verbo del quale tanto spesso mi dimentico; insomma all'improvviso, ieri, nel bel mezzo di una versione su interest e refert, mi è venuta fuori questa idea da un sacchetto che non credevo di avere, ho estratto la tesi dalla borsa, gliel'ho messa in mano e gli ho detto questa è la mia tesi di dottorato, l'ho scritta tutta io. E lui se l'è accarezzata per bene, la tesi, e quella se ne stava lì sotto e gongolava, e sarebbe quasi nata una storia d'amore romantica e rosea se Marco non fosse saltato su e con la sua voce sempre un pelo troppo alta rispetto a quanto tu ti aspetteresti avesse concluso secondo me è piena di fotografie, mi vuoi fregare, eh? 
E allora abbiamo riso tutti e tre: io, Marco il mio allievo cieco, e pure la tesi di dottorato, che in un mese di vita ancora una risata non se l'era mai concessa.

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