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lunedì 26 dicembre 2016

Un ponte politico

Ho visto gente andare, perdersi e tornare
e perdersi ancora.
E tendere la mano, a mani vuote.
E con le stesse scarpe, camminare
per diverse strade.
O con diverse scarpe
su una strada sola..

F. De Gregori



"A San Vito la differenza la fa il ponte. - chiosa Marcello in risposta al volto perplesso di un astante - Quelli che abitano prima del ponte (venendo da Modena: e anche questo è un dettaglio importante) sono democristiani, quelli che stanno dopo il ponte, invece, comunisti".

"Io? Io abito dopo il ponte".

Ed è tutto più chiaro, allora, tra un sorso di birra e un morso sottile di pizza al sapore di cloro; e i contorni di San Vito - paesello insignificante, attraversato quasi ogni giorno senza far caso né al ponte (il torrente che attraversa è un greto, più che un corso d'acqua) né al colore politico dei passanti - cominciano a meglio definirsi davanti ai miei e agli occhi di chi è seduto da questo lato del tavolo, mentre le particelle di grasso smaltite con una furiosa partita di pallanuoto vengono mitemente sostituite da nuovi carboidrati al gusto di mozzarella.

"Il bar dei comunisti - continua Marcello con quel modo lento di parlare che è lo stesso con cui compita lo stile delle vasche ogni lunedì e giovedì sera - è quello gestito dalle due lesbiche, mentre nell'altro, sul lato sinistro della strada principale, ci vanno i democristiani, e a me non piace perché è troppo piccolo, ci si sta scomodi".
"I vecchietti del bar comunista, poi, si divertono a provarci con le due lesbiche, e loro ridono, perché hanno imparato a non offendersi".



Da casa mia a casa dei miei esistono almeno un paio di strade (ne avevo già parlato qui: che fantasia, eh?!), e io di recente avevo programmato inconsciamente il mio pilota automatico perché ne percorresse una all'andata e l'altra al ritorno (temevo forse che qualche semaforo si sarebbe sentito trascurato?); così facendo, però, saltavo sistematicamente il passaggio a cavallo di quel ponte, il ponte di cui Marcello, solo qualche sera fa, mi ha insegnato il fatale ruolo politico-sociale.


E così ho osato, cambiando i programmi e sparigliando i meccanismi prevedibili del binomio mano-volante: ho deciso di andare alla scoperta del ponte di San Vito.
Di lanciare qualche occhiata furtiva dentro al bar delle lesbiche, per vedere se riuscivo ad incontrare uno sguardo di sorniona provocazione.
Di scrutare al volo i volti dei passanti, alla ricerca di impercettibili sfumature e schieramenti.
Di osservare gli spazi angusti del bar piccolo, e magari di beccare Marcello stesso che ci passa davanti sdegnoso.


Marcello, a dire il vero, non l'ho ancora incontrato, ma mentre la Panda sobbalza - con tutti quei rumoretti e quegli acciacchi che oramai si porta dietro, dall'alto dei suoi cinque anni di onorato servizio - e sbuffa facendo capolino dall'alto del ponticello, a Tinni sembra di sentire quei due metri scarsi di strada su e giù e di sentirli più vivi.
Lei stessa, in realtà, si sente più viva, mentre aguzza vista, orecchie e cuore alla ricerca di segnali eterni eppure nuovi; mentre si allaccia metaforicamente scarpe diverse sulla stessa strada, ogni volta.
Mentre sorride e, per un attimo, non pensa a nulla, se non a futili, insignificanti, volatili e banalissimi ponti.


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